I precedenti istituzionali degli Economati generali dei benefici vacanti si ritrovano negli Stati preunitari e precisamente in quegli organi designati ad applicare il diritto dei sovrani (regalìa) sui frutti dei benefici ecclesiastici vacanti, ossia privi di titolare. Nel nascente Stato italiano furono istituiti Economati generali a Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo. Essi furono sottoposti alle norme dettate, già nel Regno di Sardegna, dal regio decreto 26 settembre 1860, n. 4314, il cui regolamento fu approvato con r.d. 16 gennaio 1861, n. 4608 (pubblicato il 6 febbraio). Regolamenti specifici per i diversi Economati furono emanati in seguito. Il regolamento per la contabilità fu approvato con r.d. 26 novembre 1874. Una normativa generale uniforme fu dettata prima con il r.d. 7 novembre 1877, n. 4182, poi, in maniera più completa, con il r.d. 2 marzo 1899, n. 64, e, finalmente, con il decreto luogotenenziale 23 maggio 1918, n. 978.
Forniti ciascuno di personalità giuridica propria, gli Economati erano comunque sottoposti al Ministero di grazia, giustizia e dei culti. Il loro scopo principale, svolto anche attraverso i Subeconomati dipendenti, era di assumere possesso dei benefici ecclesiastici vacanti o posti sotto sequestro dall'autorità civile, di curarne l'amministrazione, e infine di riconsegnare le temporalità beneficiarie agli investiti solo quando essi avessero ricevuto il riconoscimento civile. L'avanzo netto di amministrazione era tenuto a disposizione del ministro di grazia e giustizia e dei culti, per concedere un equo sussidio ai nuovi investiti, sovvenire i parroci e i preti poveri, concorrere al restauro delle chiese, dei palazzi vescovili e delle case canoniche e per compiere opere di carità. Oltre a questi compiti, gli Economati generali esercitavano la vigilanza sui benefici pieni e su altre istituzioni di natura ecclesiastica, con il fine di provvedere alla conservazione del patrimonio ecclesiastico e di garantire l'osservanza delle leggi dello Stato e delle norme speciali che regolavano la materia, non consentendo malversazioni, danni o irregolarità e adottando gli opportuni provvedimenti in caso di trasgressione.
La vigilanza consisteva soprattutto negli accertamenti per la verifica della regolare gestione degli enti e, in casi particolari, nell'assunzione della rappresentanza di un beneficio per compiere un atto vantaggioso, che però l'investito si rifiutava di eseguire. Per l'insufficienza di personale a fronte dell'elevato numero di benefici esistenti in ciascuna circoscrizione economale, non fu mai possibile ottemperare all'obbligo, previsto dai regolamenti, di tenere i registri contenenti gli stati patrimoniali degli enti da vigilare e gli aggiornamenti relativi alle variazioni: le informazioni in possesso degli uffici economali si limitavano, in realtà, ad alcuni elementi, rilevati in occasione della presa di possesso, circa lo stato patrimoniale dei benefici vacanti o sotto sequestro. Gli Economati potevano poi, se fosse stata accertata la cattiva gestione, affiancare il titolare dell'ente nell'amministrazione. Nel caso di sequestro delle temporalità beneficiarie, «per repressione», vale a dire per punizione del titolare ritenuto colpevole di riprovevole condotta, l'avanzo della gestione dei beni sarebbe stata devoluta all'Economato competente.
Gli economi, inoltre, intervenivano, insieme al procuratore generale del re, nella tutela degli enti, ossia nella integrazione della loro capacità giuridica, per compiere atti e contratti eccedenti l'ordinaria amministrazione, in quanto l'art. 434 del Codice civile vietava l'alienazione dei beni degli istituti ecclesiastici senza l'autorizzazione del Governo. Ai subeconomi era affidato l'incarico di compilare l'elenco degli oggetti pregevoli presenti nei patrimoni di cui assumevano il possesso in caso di vacanza degli investiti. Si trattava soprattutto degli oggetti di antichità e arte contenuti nelle chiese. Copia dell'elenco doveva essere trasmessa al ministro dell'istruzione pubblica per la formazione del catalogo generale degli oggetti d'arte.
Per altre notizie sull'organizzazione degli Economati, si veda la scheda Economato generale dei benefici vacanti nel Sistema della Guida generale degli Archivi di Stato.
Ciascun Economato amministrava anche un proprio patrimonio, costituito per la maggior parte di rendita pubblica. Quest'ultima era il frutto dell'investimento di avanzi di cassa andati per molti anni in economia e capitalizzati. Così, ad esempio, la rendita pubblica dell'Economato generale di Torino doveva avere una dimensione ragguardevole se su di essa gravava un fondo di 200.000 lire annue per sussidi continuativi ai parroci più benemeriti e bisognosi delle province sabaude (istituito con r.d. 8 luglio 1860) e un fondo di 40.000 lire annue destinate ai chierici poveri delle stesse province, a titolo di patrimonio sacro, per consentir loro di conseguire l'ordinazione sacerdotale.
Non mancavano però beni immobili, provenienti dal patrimonio di alcuni enti ecclesiastici soppressi e devoluti agli Economati: come nel caso di quello di Torino, proprietario di cascine nelle province di Cuneo e di Torino, e di stabili in Torino; oppure dell'Economato di Napoli, al quale era pervenuta una parte delle proprietà dei benefici semplici soppressi con i brevi di Gregorio XVI, "Dum collatis" e "Religionis decus", entrambi del 5 novembre 1839. Questa acquisizione era stata ottenuta dopo una controversia con il Fondo per il culto terminata transattivamente con una convenzione stipulata l'8 dicembre 1878.
Nel dicembre 1866 e nell'ottobre 1867 l'Economato generale di Firenze acquisì le rendite delle Aziende delle congrue, già istituite con l'atto 26 marzo 1817 rogato Cecchi, mediante il quale l'Ospedale degli Innocenti aveva consegnato al precedente Economato granducale un capitale: con gli interessi di esso venivano pagati assegni di congrua a determinati benefici.
Anche nei fondi dell'Economato generale di Palermo, oltre a censi, canoni, livelli ed altre annualità, erano compresi redditi patrimoniali provenienti da mense vescovili e prelature diverse.
L'amministrazione di questi beni era tenuta da ciascun Economato sotto la dipendenza e vigilanza del Ministero di grazia e giustizia e dei culti. Vi era poi la gestione di aziende speciali di culto (d.lgt. 23 maggio 1918, n. 978, art. 7), che rivestiva un carattere particolare, in quanto si considerava come tenuta in conto terzi e non era sottoposta al controllo della Corte dei conti. Anche tali aziende speciali erano sorte con il patrimonio di enti ecclesiastici soppressi negli Stati preunitari a partire dal secolo XVIII. Fra esse occorre ricordare soprattutto il Fondo clero veneto (costituito da beni destinati a sostenere finanziariamente nella città di Venezia benefici parrocchiali e coadiutorali, fabbricerie, confraternite ed altri enti di culto e di beneficenza) e i patrimoni di culto della Toscana.
Per quanto riguarda il primo, la denominazione, in origine non adoperata da alcuna disposizione legislativa, era sorta nella pratica amministrativa. Il Fondo clero veneto era costituito sostanzialmente da due cespiti. Il primo aveva origine nei capitali mobiliari appartenenti a tutti gli enti ecclesiastici di Venezia e di cui la Repubblica veneta aveva ordinato il deposito presso istituti sotto la vigilanza del Governo. Tali istituti erano falliti con la caduta della Repubblica e l'autorità civile ne aveva poi surrogato i fondi destinati a fini di culto soprattutto con titoli del debito pubblico: durante il periodo napoleonico, con la rendita di 500.000 lire inscritta sul Monte Napoleone, amministrata dal Comune di Venezia; durante il periodo austriaco, con uno stanziamento sul Monte lombardo-veneto, amministrato dalla Cassa dello Stato; dopo l'unione al Regno d'Italia, con la cosiddetta Grande cartella del Debito pubblico. L'altro cespite era costituito dai beni dei capitoli parrocchiali, che furono soppressi nel 1810, e delle parrocchie soppresse nello stesso anno (le parrocchie di Venezia passarono allora da 72 a 30). Questi beni furono assegnati a una Commissione per le rendite capitolari, che avrebbe dovuto gestirli ai fini del mantenimento del clero curato veneziano (dispaccio del Ministero dei culti 4 ottobre 1811, n. 9663). Ad essi si aggiunsero nel 1836 i beni di benefici minori (vicarie coadiutoriali ed oratori), e, nel 1869, quelli dei benefici parrocchiali conservati, eccettuati alcuni di essi. Con decreto del ministro di grazia e giustizia e dei culti 31 marzo 1869 la Grande cartella fu consegnata all'Economato generale delle province venete, istituito con il r.d. 22 novembre 1866, n. 3329. Con ulteriore decreto ministeriale 7 gennaio 1870, la Commissione delle rendite capitolari divenne sezione dell'Economato generale di Venezia. Il Fondo possedeva anche le case canoniche il cui uso spettava ai parroci e vicari della città, e doveva provvedere dunque alla loro manutenzione.
A proposito dei patrimoni di culto della Toscana, nel 1784 il granduca Leopoldo I istituì in ogni diocesi un Patrimonio ecclesiastico, ossia una cassa che doveva amministrare le rendite dei benefici parrocchiali e i beni degli enti ecclesiastici soppressi (cappellanie, opere laicali, confraternite), per erogare congrue e spese di culto. Nel 1793 tali Patrimoni furono posti in liquidazione, con la ripartizione dei beni fra gli enti interessati. Le quote residue non assegnate, dette Resti dei patrimoni ecclesiastici (di Siena, Pistoia, Grosseto), costituirono ciascuna una azienda di culto. Un altro gruppo di aziende era costituito dai cosiddetti Scorpori beneficiari (di Arezzo, Bibbona, Colle Val d'Elsa, Firenze, Pisa, Pistoia, Prato, San Miniato, Volterra), formati con le rendite di benefici soppressi o con quote di patrimonio "scorporate" dai benefici più ricchi a favore di quelli meno dotati, per iniziativa dell'autorità civile o di quella religiosa. L'ente Congrue di Arezzo fu istituito nel 1820 con i capitali di diversi istituti ospedalieri, per le medesime finalità degli enti citati in precedenza.
In seguito all'abolizione del diritto di regalìa prevista dall'art. 25 del Concordato del 1929 (l. 27 maggio 1929, n. 810), e al trasferimento dell'amministrazione dei benefici vacanti nell'ambito delle norme del diritto canonico (art. 26), gli Economati furono soppressi dall'art. 18 della l. 27 maggio 1929, n. 848 (in vigore dal 23 giugno). I loro patrimoni furono riuniti, insieme a quelli dei Fondi di religione delle province ex austro-ungariche, in un unico patrimonio «destinato a sovvenire il clero particolarmente benemerito e bisognoso, a favorire scopi di culto, di beneficenza e di istruzione» e la cui amministrazione fu affidata alla Direzione generale del Fondo per il culto nel Ministero di giustizia e affari di culto, con lo stesso Consiglio di amministrazione che si occupava anche dalla gestione del Fondo per il culto (art. 19). L'erogazione delle somme sarebbe stata a cura della Direzione generale dei culti (art. 56 del r.d. 2 dicembre 1929, n. 2262).
L'amministrazione delle aziende speciali di culto passò invece agli Uffici per gli affari di culto, costituiti in ciascuna delle Procure generali del re presso le Corti d'appello; essi erano alle dipendenze del procuratore generale stesso, per l'esercizio delle funzioni riservate allo Stato in materia di culto (art. 21 della l. 848/1929 e artt. 62 lett. c, 64, 65 del r.d. 2262/1929).
Successivamente, la gestione dei patrimoni riuniti degli ex Economati e dei Fondi di religione delle province annesse, insieme a quella del Fondo per il culto, fu trasferita dal Ministero della giustizia al Ministero dell'interno, in forza del r.d. 20 luglio 1932, n. 884, e, conseguentemente, la gestione delle aziende speciali di culto passò dagli Uffici per gli affari di culto alle Prefetture, secondo quanto stabilito dal regio decreto-legge 19 agosto 1932, n. 1080 (convertito dalla l. 6 aprile 1933, n. 455).
Infine, la l. 20 maggio 1985, n. 222 ha attribuito tutti i patrimoni appena ricordati, insieme a quelli del Fondo per il culto e del Fondo di beneficenza e religione nella città di Roma, al Fondo edifici di culto, amministrato sempre nell'ambito del Ministero dell'interno (art. 54). Con specifico riferimento alle aziende speciali di culto, gestite fino ad allora dalle Prefetture, la norma nomina espressamente il Fondo clero veneto - gestione clero curato, il Fondo clero veneto - gestione grande cartella, l'Azienda speciale di culto della Toscana e il Patrimonio ecclesiastico di Grosseto. I proventi del Fondo edifici di culto sono utilizzati soprattutto per la conservazione, il restauro, la tutela e la valorizzazione delle chiese appartenenti al nuovo ente patrimoniale (art. 58).